News 06 2015 fluorati e perfluorati

10 Febbraio 2017

FLUORO E PERFLUORATI: aspetti tossicologici e presenza nelle acque

Non si può parlare del fluoro ignorando la presenza, ubiquitaria nell’ambiente, dei perfluorati, una famiglia di inquinanti emergenti che ha proprio il fluoro come costituente fondamentale della sua struttura molecolare. Il ruolo del fluoro nell’organismo e la sua presenza nelle acqua è ben nota, per questo esiste in merito una legislazione precisa e dettagliata; diversamente ai perfluorati, per i quali gli studi riguardanti gli effetti tossici sull’uomo non hanno ancora portato a risultati conclusivi. In questo breve approfondimento il fluoro e i perfluorati verranno quindi considerati separatamente, e per i motivi primi citati verrà dato maggior spazio all’analisi di queste “nuove” sostanze, riconosciute peraltro come interferenti endocrini.

 

IL FLUORO

Il fluoruro è presente soprattutto in acque provenienti da rocce magmatiche oppure dove vi sono filoni di origine idrotermale che contengono fluorite; talvolta possono avere origine da emanazioni vulcaniche. Livelli elevati di fluoruri (> 25 mg/l) sono frequenti nelle acque di aree geografiche dove sono presenti fenomeni di attività vulcanica (India, Giappone, Italia, Sud Africa, Senegal).

Il fluoro è contenuto nell’organismo umano in quantità di circa 2,6g; esso è distribuito nelle ossa ed in particolare nei denti dove svolge un’azione protettiva formando dei cristalli di fluoroapatite. Il depositarsi a livello osseo e dentale è probabilmente l’unico effetto positivo che il fluoro svolge nell’organismo per questo motivo, allo stato attuale delle conoscenze, non è possibile attribuirgli un ruolo di essenzialità. Il fluoro introdotto nell’organismo con l’alimentazione viene notevolmente assimilato (50-80%) anche se alcuni elementi  come il calcio, il magnesio e l’alluminio giocano un ruolo antagonista. Gli alimenti più ricchi di fluoro sono il pesce (0,2-3 mg/kg), i frutti di mare (0,3-1,5 mg/kg), le uova (0,3 mg/kg), il tè (0,5 mg/kg) e l’acqua. Bassi apporti di fluoro aumentano il rischio di insorgenza di carie dentale, viceversa dosi eccessive di questo elemento determinano la fluorosi, caratterizzata dall’insorgenza di particolari macchie sullo smalto dei denti. La fluorosi può verificarsi assumendo regolarmente acque fluorate, oppure tramite inalazioni (minatori) in grado di apportare all’organismo quantità di fluoro comprese tra 0,5 e 2,6 g/die.

In alcune zone del mondo (Stati Uniti, Canada, Australia) le acque vengono regolarmente fluorate; tale pratica non è applicata nel nostro Paese e nemmeno in nessun altro dell’ambito europeo. Il fluoro viene aggiunto all’acqua sotto forma di fluoruri che si dissolvono nell’acqua sotto forma di ioni fluoro (F) e altri ioni che dipendono dal particolare composto utilizzato. I fluoruri che vengono aggiunti all’acqua, in quantità comprese tra 0,7 e 1,2 ppm, sono generalmente tre: il fluorosilicato di sodio, il fluoruro di sodio, l’acido fluorosilicico.

Una concentrazione naturale di fluoruri nell’acqua troppo elevata può essere ridotta con tecniche di adsorbimento su allumina attivata e carbone d’ossa.

Il limite di concentrazione del fluoro in acqua è pari a 1,5mg/L per le acque destinate al consumo umano, mentre per le acque minerali naturali l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha espresso un’opinione scientifica nella quale ritiene che non vi siano rischi di fluorosi dentale a seguito di assunzione di acque aventi un contenuto di fluoruri fino a 5 mg/L per la popolazione adulta, e fino a 1,5 mg/L per i bambini di età superiore ai 3 anni. In base a ciò è stato stabilito di realizzare una differenziazione fra popolazione adulta e infantile e la legislazione di riferimento (D.M. 11 settembre 2003) stabilisce quindi che le acque minerali naturali la cui concentrazione di fluoruro è superiore a 1,5 mg/L devono comportare la seguente indicazione in etichettatura «Contiene più di 1,5 mg/L di fluoro: non ne è opportuno il consumo regolare da parte dei lattanti e dei bambini di età inferiore a sette anni».

Riferimento legislativo concentrazione (mg/L)
OMS[1] 1,5
EPA[2] 4
Direttiva 98/83[3] 1,5
D.Lgs 31/2001[4] 1,5
D.M. 10 febbraio 2015[5] 5

 

I PERFLUORATI

Si tratta di sostanze denominate anche fluorocarburi, carbonio fluoruri, perfluorocarburi, ovvero composti fluoro-organici che contengono solo atomi di carbonio e fluoro. Le catene di atomi di carbonio di queste sostanze possono avere lunghezza variabile, da C4 a C14, e possono essere lineari o ramificate. Il legame C-F rende queste molecole particolarmente resistenti all’idrolisi, alla fotolisi, alla degradazione microbica, inoltre tra le principali caratteristiche chimico-fisiche ci sono la natura anfifilica (presenza di strutture idrofile e idrofobe) e una debole tensione superficiale. Le famiglie di perfluorati di particolare interesse sono i cosiddetti PFOS e PFOA, rispettivamente acido perfluorooctansulfonico e acido perfluorooctanoico.

Le particolarissime caratteristiche di queste sostanze le rende interessanti in molti settori della produzione industriale, basti pensare ai rivestimenti teflonati delle superfici antiaderenti ed ai tessuti in GoreTex per l’abbigliamento sportivo. Tra gli altri impieghi:

• Trattamenti impermeabilizzati di pelle e tessuti;
• Rivestimento di carta e cartone;
• Detergenti (come tensioattivi), cere per lucidare i pavimenti;
• Pitture e vernici;
• Pesticidi e insetticidi;
• Schiume anti-incendio;
• Pellicole fotografiche;
• Trattamenti di superfici metalliche (per diminuire la tensione superficiale);
• Agenti disgorganti per le tubature

 

Fig.1 Formule chimiche di struttura delle principali famiglie di perfluorati: i PFOA e i PFOS

La tossicità

Studi sugli animali hanno evidenziato effetti a carico del metabolismo lipidico e dell’equilibrio ormonale, per questo i perfluorati sono stati classificati tra gli interferenti endocrini. A partire dagli anni ‘90 l’Agenzia Americana per la Protezione Ambientale (US EPA) aveva denunciato la presenza di PFOS, e di composti ad esso correlati, in alcuni organismi viventi, uomo compreso, di diverse aree geografiche. Oggi gli Stati dell’Unione Europea stanno lavorando per l’inserimento dei PFOS, dei PFOA e dei loro composti correlati nella lista stilata dalla Convenzione di Stoccolma[6], in cui sono riportate le sostanze più pericolose per la salute dell’uomo e dell’ambiente in quanto inquinanti organici persistenti.

I PFOS e i PFOA sono in grado di bioaccumularsi[7] negli organismi viventi e di interferire con la comunicazione intercellulare, ciò può portare allo sviluppo di cellule anormali e di tumori, specie in caso di esposizione cronica. Questo fenomeno è stato dimostrato sia per il PFOA che per il PFOS (anche se gli effetti dei PFOS sono fino a dieci volte più potenti rispetto a quelli dei PFOA) e sembra dipendere dalla lunghezza della catena carboniosa delle molecole. Entrambe queste sostanze hanno mostrato attività epatotossica in roditori e scimmie. In particolare le esperienze sui roditori hanno evidenziato la riduzione del peso del feto, la mancata calcificazione delle ossa, disfunzioni cardiache e morte neonatale. I neonati di ratto sopravvissuti mostravano ritardo nella crescita, e dall’esame del sangue emergevano livelli ridotti di tetraiodotironina (T4), per cui il ritardo nello sviluppo del feto e nella crescita, potrebbe essere dovuto alla capacità del PFOS di interferire con la maturazione cellulare e funzionale degli organi bersaglio, tramite l’influenza esercitata sugli ormoni tiroidei. Sia il PFOA che il PFOS sono in grado di interferire con il sistema neuroendocrino, ma nonostante il modello animale abbia fornito evidenze di interferenza sull’attività ormonale, non sono ad oggi ancora disponibili dati altrettanto chiari per gli analoghi effetti sull’uomo.

Le fonti di assorbimento

Le principali fonti di assorbimento sono l’ambiente, gli alimenti e l’acqua.

 

Ambiente

Sul suolo la presenza di tracce di perfluorati è più marcata in prossimità degli impianti industriali che ne fanno uso per la loro produzione, inoltre tracce sensibili sono registrabili, anche dopo alcuni mesi, a seguito dell’uso di schiume antincendio (2,87 ng/g).

Per quanto riguarda i livelli aerodispersi outdoor, studi giapponesi condotti in aree urbane hanno evidenziato concentrazioni medie di PFOA pari a 0,37 ng/m3 e di PFOS pari a 0,006 ng/m3; mentre uno studio americano condotto in prossimità di aree adiacente la produzione di fluoropolimeri ha fornito valori di livelli aerodispersi di PFOA compresi tra 120 e 900 ng/m3. PFOs e PFOA possono interagire con il particellato fine ambientale ed esserne veicolato.

In zone indoor la presenza di PFOS e PFOA va ricercata soprattutto nella polvere depositata in ambiente domestico, uno studio[8] ha evidenziato le seguenti concentrazioni: PFOS (<0,002 – 5,065 mg/g); PFOA (0,002 – 1,231 mg/g).

 

Alimenti

La dieta rappresenta la principale via di esposizione all’organismo per queste sostanze.

Particolarmente significativa è la presenza di fluoropolimeri nelle carni dei pesci di mare e di acqua dolce, soprattutto per quelli provenienti da aree contaminate da queste sostanze; in questi casi si sono registrate concentrazioni di perfluorati comprese tra 6 e 425 ng/g[9]. Un’indagine condotta dalla UK Food Standards Agency nel 2004 ha evidenziato la presenza di PFOS in verdure in scatola (2 ng/g), uova (1 ng/g), marmellata (1 ng/g); per quanto riguarda le patate e piatti pronti contenenti patate si è registrato un contenuto di PFOS pari a 10 ng/g e di PFOA di 1 ng/g. Uno studio americano effettuato dal Centre Analytical Laboratories ha riportato livelli di PFOS nella carne macinata e nel latte intero compresi tra 0,57 e 0,85 ng/g e concentrazioni di PFOA (0,50 – 2,35 ng/g) in campioni di pane, fagiolini verdi, mele e carne tritata.

 

Acque

L’attenzione dei ricercatori è rivolta da alcuni anni allo studio di casi di contaminazione di acque potabili riferibili a PFOA[10]. Uno di questi risale al 2004 e ha interessato l’area di Little Hocking (Ohio, USA); qui le concentrazioni di PFOA nei pozzi variavano tra 1900 e 10100 ng/l (2004) e tra 3900 e 18600 ng/l (2005); la successiva valutazione dei livelli di PFOA nel siero di soggetti esposti (consumatori abituali dell’acqua proveniente dalla centrale in oggetto) ha fornito una mediana pari a 374 ng/l, inoltre l’indagine ha posto in evidenza che l’impiego di filtri a carbone attivo era in grado di ridurre il livello di contaminazione dell’acqua consumata, con conseguente diminuzione dei livelli ematici di PFOA. Un altro caso significativo di inquinamento si è verificato in Germania tra il 2006 e il 2007, nella regione di Sauerland, a causa di un impiego diffuso di fertilizzanti contenenti PFAs. I valori di PFOA rilevati nelle acque, compresi tra 22 e 519 ng/l, hanno subito una drastica diminuzione (<100 ng/l) in seguito all’utilizzo di filtri a carbone attivo.

 

RImozione dei PFOA dall’acqua di rete

Tra le tecnologie efficaci nella rimozione di PFOA e PFOS ci sono quindi i carboni attivi, che offrono il miglior rapporto costi/benefici, più onerose anche se molto efficaci risultano essere l’osmosi inversa e la nanofiltrazione, mentre meno efficaci in ambito acquedottistico sono le tecnologie più “classiche” basate sulla chiariflocculazione.

Le concentrazioni medie di PFOS nelle acque potabili italiane sono nell’ordine dei ng/L, mentre per quanto riguarda gli PFOA le concentrazioni sono nell’ordine di alcune decine di ng/L[11]; questi valori sono molto contenuti ma il problema della contaminazione diffusa da perfluorati non va sottovalutato. Qualche esempio può dare un’idea della varietà e della vastità delle casistiche in gioco in Italia. Un documento dell’ISS del 2013 riguarda il ritrovamento di sostanze perfluorurate nelle acque superficiali e potabili della provincia di Vicenza e comuni limitrofi; uno studio del 2009 dell’Istituto Mario Negri riguarda l’analisi di PFOS e PFOA in campioni di pesce del Mediterraneo; elevate concentrazioni di perfluorati sono state rilevate nel Tanaro, nel Bormida e nel PO a seguito dell’attività industriale della Solvay. Questi sono solo alcuni esempi di matrici ambientali fortemente contaminate da queste famiglie di inquinanti.

La grande resistenza di PFOA e PFOS al degrado naturale le rende durature e ubiquitarie. Il monitoraggio nelle acque oceaniche e nel particolato ambientale ha fornito indicazioni sulla loro veicolazione, spiegandone la presenza a livello planetario.

 

Limiti di concentrazione

Mentre esistono limiti di concentrazione in acqua per i fluoruri, per i perfluorati le ricerche stanno producendo dati sulla loro presenza nell’ambiente e gli effetti tossici per l’uomo.

Tuttavia alcuni Stati ed Enti si sono già dotati di regolamentazioni in merito, fissando dei limiti provvisori, come l’EPA ha stabilito 0,2 mg/L per i PFOS e 0,4 mg/L per PFOA; la Germania 100 ng/L per PFOA e PFOS indifferentemente; il Regno Unito 0,3 mg/L per PFOS e 10 mg/L per PFOA; i Paesi Bassi 0,53 mg/L per entrambi; il Gruppo di Lavoro Europeo 0,525 mg/L per entrambe, infine l’EFSA che ha stabilito un Total Dose Intake (TDI[12]) pari a 150 ng/kg per PFOS e 1,5 mg/kg per PFOA.


[1] Organizzazione Mondiale della Sanità, 2008
[2] Agenzia per la Protezione Ambientale Americana, 2009
[3] Direttiva Europea riguardante la qualità delle acque destinate al consumo umano
[4] Decreto Legislativo nazionale riguardante la qualità delle acque destinate al consumo umano, recepimento della   Direttiva Europea 98/83
[5] Decreto Ministeriale nazionale riguardante la qualità delle acque minerali naturali
[6] La Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti, stabilita in occasione di un convegno tenutosi a Stoccolma dal 22 al 23 maggio 2001, si pone come obiettivo l’eliminazione e la diminuzione dell’uso di alcune sostanze nocive per la salute umana e per l’ambiente definite inquinanti organici persistenti (POP)
[7] Il bioaccumulo è dovuto al lungo tempo di permanenza di queste sostanze nell’organismo umano, infatti per i PFOA il tempo di dimezzamento è stimato in 3,8 anni mentre per il PFOS 5,4 anni.
[8] Kubwabo B. Occurence of perfluorosulfonates and other perfluorochemicals in dust from selected homes in the city of Ottawa, Canada. J Environ Monit, 2005
[9] Wilhelm M. Assessment and management of the first German case of a contamination with perfluorinated compounds (PFC) in the region Sauerland, North Rhine-Westphalia. J Toxicol Environ Health, 2008
[10] Interferenti endocrini: PFOS e PFOA – G Ital Med Lav Erg 2008; 30:4, 309-323
[11] Emerging Organic Contaminants in Drinking Water – Tesi di laurea di Alessandro Trombetta A.A. 2010-11 Politecnico di Milano
[12] Quantità giornaliera di una sostanza che può essere assunta attraverso l’aria, gli alimenti e l’acqua, per l’intero arco della vita, senza apprezzabili effetti sulla salute