Lo scarto di un impianto ad osmosi inversa, miti da sfatare, sin dove è possibile ridurlo ?

18 Marzo 2019

Impianto ROD S GWS

Gli impianti ad osmosi  inversa lavorano sul principio di separare una soluzione ricca di sali, detta scarto, da una più leggera chiamata permeato.

Generalmente il permeato è l’obiettivo del trattamento e quindi si  deve scartare il concentrato.   La quantità di acqua scartata pone alcuni evidenti problemi, soprattutto dove l’utilizzo di un impianto ad osmosi inversa è continuativo.  Lo scarto rappresenta un costo e in certi casi uno spreco. (Vi è una grande differenza tra scarto e spreco: il primo è necessario il secondo no….)

Vi sono situazioni in cui vi è carenza idrica stagionale, ad esempio in ampie zone del Sud Italia, in cui non è possibile attingere alla risorsa idrica in abbondanza.Vi sono anche casi di bassa portata dovuti alla rete distributiva.

Lo scarto di un impianto ad osmosi inversa può essere il punto debole del sistema di trattamento, ridurlo per migliorare le prestazioni è possibile ma con limiti ben precisi.

Sin  dove è possibile ridurre lo scarto dell’osmosi ?

La quantità di acqua scartata da un impianto ad osmosi inversa dipende dalla tipologia costruttiva, dalla qualità delle membrane e dalle pressioni e temperature di esercizio.  Le membrane ad osmosi inversa diminuiscono la reiezione, ossia lo scarto, con il diminuire delle loro capacità di separazione. Una membrana da 50 GPD 1812, ossia 150 litri giorno circa,  riduce la presenza  di sali del 95%. Con le stesse dimensioni  una membrana da da 100 GPD 1812  abbatte solo il 90% di sali disciolti.

All’aumentare della temperatura lo scarto diminuisce, questo perchè la membrana si dilata e la porosità aumenta.

Una membrana ad osmosi che lavora a 4 bar con  temperatura di 20 °C scarta circa il 90 % dell’acqua in ingresso

Per  ridurre lo scarto in maniera brutale, si agisce generalmente sulla contropressione generata dal flow restrictor.  Aumentando la pressione del circuito le membrane producono di più, ma non sempre è una cosa saggia.

Le membrane hanno bisogno che l’acqua di scarto lavi la superficie di contatto, evitando il deposito di incrostazioni e biofueling.  Se riduciamo  lo scarto

Membrana certificata DM 174 E-Mem

diminuendo il flusso in uscita con una restrizione,  il deposito aumenta considerevolmente diminuendo nel tempo la produzione e quindi la durata  di vita della membrana.  L’aumento della pressione di esercizio comporta inoltre uno sforzo su tutti i componenti del sistema, in primis la pompa, che spesso non sono adatti a quelle pressioni e nello stesso tempo diminuiscono l’efficacia del trattamento. Aumentando le pressioni le membrane non riescono ad essere così selettive, e la loro capacità di abbattimento scende dal 95-90 al 90-95 % dei sali disciolti.

Il nostro consiglio, per le membrane domestiche tipo 1812, è di non scendere sotto il rapporto 1 a 2 (ogni 2 litri scartati uno di permeato).  Non scendere quindi oltre il 66%  di scarto.

L’utilizzo di un circuito di lavaggio delle membrane per gli impianti domestici ha poco senso o meglio, avrebbe senso se strutturato in maniera adeguata, in contro lavaggio e con pompa di spinta.  Purtroppo per motivi di economicità e di silenziosità , il flushing – lavaggio delle membrane- altro non è che l’apertura a tempo di una  valvola dedicata che funge da by pass sul flow restricor in contemporanea con l’apertura della valvola di ingresso.  Per avere efficacia, dovrebbe partire anche la pompa, ma questo genera un rumore che non è accettabile soprattutto se parte nei momenti in cui in casa è chiesto il silenzio. Lo scarico nel sifone genera rumori difficili da gestire.

Alcune tecniche costruttive prevedono un ricircolo, ossia parte dell’acqua scartata  viene nuovamente rimessa in circolo con l’ausilio di pompe, oppure facendo lavorare in serie più membrane ed alimentando la seconda con lo scarto della prima e così via.  Questa tecnica permette di arrivare ad una soglia di scarto pari al 50%  con l’inconveniente di diminuire la durata delle membrane in quanto si impaccano prima.  La pompa che spinge in ricircolo non può essere volumetrica a palette, in quanto molto sensibile alla qualità dell’acqua in ingresso. La soluzione ideale sarebbe una pompa centrifuga, che raccoglie parte dell’acqua di scarto per rilanciarla a valle della pompa di spinta.

Comunque in campo domestico, dove gli impianti di trattamento si utilizzano prevalentemente per l’alimentazione, la questione  dello scarto assume una valenza modesta in quanto l’acqua “sprecata” è poca.  Basta interrogarsi su altri usi e sprechi per capirne la piccola quantità di acqua che confluisce nello scarto.

Ridurre lo scarto perchè l’acqua disponibile è insufficiente, una scelta sbagliata

Quando al rubinetto abbiamo poca acqua disponibile, ossia la rete idrica non fornisce sufficiente portata/pressione, la tentazione è di tirare il collo all’impianto, aumentando il permeato a scapito dello scarto. Oltre alla problematica già sopra descritta,  il secondo problema causato da questa scelta costruttiva sbagliata è la cavitazione della pompa e quindi una sua usura precoce.

I nostri impianti sono volutamente semplici ed efficaci.  Abbiamo a cura la loro durata di vita: componenti inutili, classiche luci di natale, non ci sono.  Il motore non è truccato, non spingiamo al massimo delle prestazioni ben sapendo che la durata di vita della macchina si ridurrebbe di conseguenza in maniera sensibile.